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Primo piano

Se questa è una ciclovia...

Ruspe in azione sul lago di Garda

Dossier-denuncia di Legambiente, WWF, Italia Nostra

Sette milioni e mezzo di euro a chilometro per la costruzione di un tratto di pista ciclabile che sta distruggendo 1.400 metri di costa del lago di Garda in Comune di Torri del Benaco: mentre le ruspe stanno arrecando l'ennesimo danno ambientale e naturalistico a uno dei pochi luoghi incontaminati sopravvissuti a decenni di speculazioni, Legambiente Verona e sezione “Il Tasso” Baldo-Garda, Italia Nostra Verona, WWF Veronese lanciano l'allarme con un documentatissimo dossier-denuncia intitolato, con un pizzico di sarcasmo, “Se questa è una ciclovia”.
Si consuma un assurdo e cinico gioco di parole: i progettisti chiamano “agglomerato di sterpaglie” quella che è un'area di enorme interesse geologico, naturalistico e ambientale.
Si sta ripetendo, con la realizzazione della ciclovia del Garda veronese, quanto accadde quarant'anni fa con la costruzione del collettore fognario, ponendo le tubazioni dirette a Peschiera lungo la costa anziché sulla strada gardesana.
“Ancora non si è compreso - si legge a conclusione del rapporto - che il destino di questo territorio, sia dal punto di vista economico che di qualità della vita, non può prescindere da una rigorosa salvaguardia dei beni naturali e ambientali”.

La riflessione

La monocoltura del vigneto
invade anche la montagna

di Dario Testi

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“Ma che bel vigneto”. Un’espressione comune per indicare la coltivazione della vite con le recenti modalità di impianto: le tradizionali pergole sono state sostituite con filari regolari ben squadrati a distanze regolari dove erbacce indesiderate sono scomparse.

Nelle immediate vicinanze sono sorti molti altri vigneti con le stesse caratteristiche che negli ultimi anni hanno occupato molti terreni fino allora adibiti a pascolo e seminativi.

Monocoltura della vite in agricoltura come conseguenza dello scarso reddito derivante dai cereali e dall’allevamento del bestiame.  La vite unica attività agricola per la nostra zona che possa offrire reddito.

Il potenziamento degli impianti a vigneto è stato favorito dalle autorizzazioni rilasciate dalla Regione per i nuovi impianti, dalla facilità per ottenere permessi di reimpianto con autorizzazioni provenienti dalle regioni del Sud Italia (Sicilia Puglia…); permessi acquistati conseguenti all’estirpazione di vigneti in quelle regioni al fine di assicurare il rispetto del quantitativo della superficie vitata in Italia.

Un’invasione di vigneti che hanno interessato colline e pianure con regole di impianto inesistenti oppure non rispettate, trascurando anche le più elementari regole agronomiche con la scomparsa di siepi e boschetti, habitat importanti per la biodiversità e per il rifugio di molte specie animali, favorendo così la diffusione di malattie.

I vantaggi della monocoltura intensiva sono rappresentati dal risparmio di mano d’opera conseguente alla conduzione meccanizzata, con attrezzature sempre nuove e più adeguate che possono permettersi soprattutto aziende di grandi dimensioni.

La riduzione dei costi si traduce in maggiori profitti, soprattutto per quelle aziende che vinificano in proprio e vendono direttamente il vino prodotto. Si tratta di aziende che negli ultimi anni abbiamo visto aumentare in dimensioni e che sono sempre più disponibili all’acquisto dei terreni in vendita, probabilmente grazie ai buoni affari e ad una fiscalità agevolata. Alla fine viene da chiedersi: tornerà il latifondo?

La viticoltura intensiva richiede sempre maggiori interventi fitosanitari, mancando le adeguate distanze e le barriere tra i vigneti in una situazione di sostanziale continuità. La mancata turnazione dei terreni con l’uso esclusivo di concimi chimici comporta l’impoverimento e la sterilità del terreno.

È davvero difficile, in questa situazione, passare al biologico. Auguriamoci che a breve si maturi una vera sensibilità ambientale da parte dei coltivatori, affinché in intere zone venga praticata un’agricoltura integrata e sostenibile. Per questo molto possono fare le cantine, praticando in proprio e richiedendo ai conferitori la pratica di attività agricola ecosostenibile, una garanzia per avere un prodotto  sicuro.

Emblematico è il caso del Glifosato (diserbante), del quale da anni si richiede la messa al bando, ma i provvedimenti vengono sempre rinviati. L’intervento delle cantine che richiedono ai conferitori di ridurre questo diserbante e di regolarne l’uso ha sortito l’effetto mai ottenuto con il convincimento o con la legge. Sono improvvisamente comparse attrezzature meccaniche idonee per eliminare l’erba indesiderata

I trattamenti fitosanitari effettuati (circa 20 durante una stagione) generalmente sono dannosi anche per la salute umana, tanto che per il loro uso è richiesto un “patentino” rilasciato dopo aver partecipato ad un corso specifico. Il trattamento si effettua con mezzi idonei utilizzando indumenti di protezione individuale. È fatto divieto di entrare nelle zone trattate per 48 ore dopo il trattamento, se non con mezzi di protezione individuale. Le piste ciclabili che attraversano zone vitate rappresentano un problema sia per il ciclista che per il viticoltore, che spera di non provocare involontariamente mai danni a terzi.

La corsa ai vigneti si spinge sempre più in alto, nelle aree montane. La “colonizzazione” da parte dei viticoltori è già iniziata anche nel Monte Baldo. Da qualche anno assistiamo a nuovi impianti di coltivazioni intensive viticole ad una altitudine di 900metri e oltre in località Spiazzi e dintorni. Questi impianti hanno comportato lavori impegnativi e, pensiamo, molto costosi per dissodare zone con poca terra, per cui sono stati impegnati mezzi per frantumare il sottostante strato roccioso. Su uno di questi siti esisteva prima una stalla bovina che ha ridotto sul lastrico il vecchio proprietario.

La montagna da sempre ritenuta sana e pulita deve fare i conti ora con la chimica. Il vigneto, sia pure biologico, abbisogna di trattamenti fitosanitari i cui residui nell’aria e sul terreno, col dilavamento, andranno ad interessare vaste zone a valle.

Un altro fenomeno che si sta diffondendo è il sorgere in prossimità del vigneto di mega strutture (cantine, siti di rappresentanza??), magari realizzate con l’aiuto di contributi comunitari. Un bello smacco per chi, nato su quel sito, per tanti anni ha portato avanti l’attività di allevatore e ora è stato costretto ad abbandonarla, perdendo tutto.

 

Allarme api dal Monte Baldo 
Il 2023
un anno da dimenticare

di Dario Testi

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Cava Mirabei, una collina artificiale fatta di rifiuti?  Ennesimo sfregio all’anfiteatro morenico

Negli stessi anni durante i quali nasceva come un fungo nel bel mezzo dell’anfiteatro morenico, in territorio di Rivoli Veronese, Italpollina, l’impianto di trasformazione dello sterco dei polli proveniente dagli allevamenti, in quel di Caprino, in località Mirabei, veniva aperta una cava dalla quale sono stati estratti due milioni e mezzo di metri cubi di sabbia e ghiaia. La cava successivamente è stata riempita con gli scarti dell’industria del marmo. Erano i primi anni Settanta. Due storie parallele che per mezzo secolo (!) hanno suscitato continue proteste tra la popolazione, la prima per i fetori emanati dall’impianto via via ampliatosi fino alle dimensioni attuali, la seconda per il grave dissesto idrogeologico-paesaggistico che costituisce un’irreparabile ferita a un ambiente protetto (a parole). Il 2023 sembrava segnare la fine della tormentata vicenda di cava Mirabei, con la restituzione all’uso agricolo dell’area, ultimamente coperta da uno strato di terra. E invece… Invece ecco un nuovo insano progetto: rimuovere il manto di terra e portare lì altri rifiuti dell’industria del marmo, 400.000 metri cubi, fino a creare una collina artificiale alta 15 metri.  Mentre il Comune di Rivoli ha detto no a questa follia e gli abitanti della zona si sono mobilitati per scongiurare l’ennesimo sfregio all’anfiteatro morenico, Raffaello Boni, presidente del Circolo Legambiente Baldo-Garda “Il Tasso”, ha scritto l’accorata lettera che qui pubblichiamo, indirizzata al sindaco di Caprino e al soprintendente alle Belle arti e al Paesaggio di Verona.

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Quel ponte alla Chiusa è un insulto 

all'ambiente e al buon senso

Ora sembra affermarsi la moda dei “ponti tibetani”. Evviva. L’ultimo della serie, nell’area montebaldina, è quello che si vuole realizzare nientedimeno che alla Chiusa, bene paesaggistico-ambientale celebrato da scrittori e poeti e tutelato da un decreto ministeriale del 1953. Il ponte dovrebbe collegare la pista ciclabile di Ceraino con la ex strada militare che, da destra Adige, dalla Chiusa sale a Rivoli. Viene da chiedersi: è proprio quello il punto ideale dove costruire una struttura che verrebbe a violentare uno dei luoghi più suggestivi del Veneto? Se proprio la si ritiene necessaria, non si potrebbe realizzare più a monte, in località Battello, dove Rivoli e Ceraino un tempo erano uniti dal servizio di barca, e dove passate amministrazioni avevano già progettato di costruire un ponte leggero?

Quest’opera fortemente voluta dalle amministrazioni di Dolcè e di Rivoli verrebbe a inserirsi in un contesto fragile, già messo a rischio dai lavori per la realizzazione della pista ciclabile a Ceraino, che hanno gravemente alterato l’aspetto paesaggistico-morfologico della riva sinistra dell’Adige. Il fiume nell’ottobre 2018 si è “vendicato” durante una piena, portandosi via un tratto della pista. Testimone di questa mutazione paesaggistica, o meglio, di questi sfregi inferti dall’uomo, è Adriana Bozzetto, attenta osservatrice delle distruzioni paesaggistiche e territoriali della zona del basso lago e dell’entroterra. Come tale ha documentato, da appassionata fotografa, anche le trasformazioni avvenute alla Chiusa fra Volargne e Ceraino. «Un giorno d’inizio 2017 andai a Ceraino per fare una passeggiata in riva all’Adige, dove da tanti anni sono solita recarmi», racconta, «ma non potei scendere lungo il fiume perché impedita da un via-vai di camion che trasportavano ghiaia e sabbia. Decisi così di raggiungere la riva destra, percorrendo la vecchia strada che conduceva al porto militare della Chiusa. Con sorpresa e grande disappunto vidi che cosa stava accadendo e cominciai a scattare fotografie. Seguii con la macchina fotografica tutte le fasi di questi lavori».

«In pratica», spiega Adriana Bozzetto, «dopo il disboscamento della riva, si realizzò un argine artificiale che sconvolse lo stato naturale di quella meravigliosa ansa dell’Adige, proprio vicino al luogo dove si vuole realizzare il ponte tibetano. Immagino che in Tibet costruiscano ponti atesini. Continuai a frequentare le rive del fiume, seppure con animo sconfortato e il pomeriggio del 30 ottobre 2018 ecco cosa mi si presentò alla vista, ma non mi meravigliò: un tratto della pista era sparito in seguito all'ondata di piena dell'Adige, che, come constatai il giorno seguente, aveva anche gravemente danneggiato l'argine nel tratto verso Nord a partire dalla placca di Ceraino: evento del tutto prevedibile da qualsiasi persona dotata di buon senso e di spirito di osservazione. Si rese necessario il ripristino del percorso, con interventi significativi proprio nella parte Nord della ciclabile Volargne-Ceraino: completo rifacimento e consolidamento dell'argine, con abbondante riporto di terreno e protezione della parte bassa con massi di contenimento in pietra locale. Costo presunto, come da cartello di cantiere, oltre 300.000 euro, da aggiungere ai 700.027,47, notare la precisione, dell'importo di contratto, al netto di altri costi, per il "Completamento della pista ciclabile "Adige-Terra dei forti" come recitava il cartello di cantiere della Regione Veneto, a suo tempo esposto a Volargne. Ovviamente il tutto a carico dei contribuenti che, forse, auspicherebbero conoscere il consuntivo dei costi».


In Italia, anche i
n tempi di crisi come quelli, drammatici, che stiamo vivendo, i soldi si trovano sempre quando si vogliono realizzare opere pubbliche non strettamente necessarie. Pensiamo alle rotatorie, per esempio, diffusesi in Italia con una progressione esponenziale a partire dagli anni Novanta del secolo scorso. Soluzione spesso intelligente al problema delle precedenze agli incroci stradali.  Tuttavia, chiunque sia dotato di buon senso, può verificare quanto siano frequenti le realizzazioni di rotonde che, anziché renderli più fluidi e sicuri, peggiorano i flussi automobilistici, rendendo oltretutto più pericolosi nella loro prossimità i passaggi di pedoni e ciclisti e consumando spazio. Eppure negli ultimi vent’anni le rotonde si sono moltiplicate a dismisura, per la gioia di sindaci e assessori pronti all’inaugurazione e attenti a far sì che l’opera, in prossimità del paese, diventi una sorta di monumento, di arco trionfale, magari piazzandoci in mezzo, dalle nostre parti, un bel leone di San Marco. E non parliamo dei sottopassaggi: chi conosce la località avrà sicuramente potuto valutare di persona l’utilità di quello, costosissimo, aperto di recente dopo anni d’interminabili lavori nei pressi di Domegliara, al Passaggio di Napoleone. Ciò accade mentre, in tutta Italia, migliaia di edifici scolastici cadono a pezzi per mancanza di manutenzione, mettendo a rischio l’incolumità di ragazzi e insegnanti. Quando si dice priorità…

Quando il fiume si vendica per i danni provocati dall'uomo

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In queste straordinarie immagini Adriana Bozzetto ha documentato lo scempio consumato pochi metri a Nord del "gran canyon" della Chiusa, dove le amministrazioni comunali di Dolcè e di Rivoli stanno progettando la costruzione di un cosiddetto "ponte tibetano" per congiungere le piste ciclabili di sinistra e di destra Adige. Nelle prime due fotografie lo stato della sponda sinistra come era nel 2010 e nell'aprile 2017 durante la realizzazione della pista ciclabile. Nelle altre immagini è documentato il cedimento di un tratto della pista in seguito alla piena dell'ottobre 2018, prontamente ricostruito (anche se non asfaltato) e un articolo dell'Arena del 19 agosto 2019 con la cronaca del Consiglio comunale di Rivoli del 31 luglio, durante il quale un solo consigliere ha votato contro la realizzazione del ponte. Lo stesso consigliere, Gino Banterla, ha segnalato il problema alla Soprintendenza il 13 settembre 2019, senza avere alcuna risposta. CLICCA QUI

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